LE MENZOGNE 



E' AMERICANA LA VERITA' SU SAN MINIATO. Nuove rivelazioni sull'eccidio di San Miniato avvenuto il 22 Luglio 1944 e su quel colpo di mortaio E' "americana" la verità sulla notte di San Lorenzo. Fu una granata degli "alleati" e non delle truppe tedesche ad entrare nel rosone del Duomo e a causare 56 vittime. Gli archivi confermano il tragico errore.
Paolo Paoletti
 
    Dopo il film dei fratelli Taviani, «La notte di S. Lorenzo», i 56 morti accertati e le decine di feriti rimasti colpiti nel Duomo di S. Miniato al Tedesco, il 22 luglio 1944, sono ormai entrati a far parte dell'immaginario collettivo degli italiani. Ma la verità del film è ben lontana da quella storica. Anzi vien da dire che ancora una volta la realtà supera leggermente la fantasia. Non solo quella scenica.
    La verità storica venne "marmorizzata" nel decimo anniversario della strage e recitava Così: «Questa lapide ricorda nei secoli il gelido eccidio / perpetrato dai tedeschi il 22 luglio 1944, di 60 vittime (sic!), / inermi, vecchi, innocenti, perfidamente sollecitate a / riparare nelle cattedrale per rendere più rapido e più superbo il misfatto».
    Il sindaco
    Secondo il sindaco di allora quella lapide fu un atto dovuto in quanto nel 1945 il giudice fiorentino Carlo Giannattasio, incaricato dal Comune di stendere una relazione finale a conclusione dell'inchiesta amministrativa, aveva dichiarato che: «la Cattedrale fu colpita da due granate... una tedesca e l'altra americana... Ma l'eccidio fu causato esclusivamente dalla granata germanica». Bisogna aspettare gli anni '80 per assistere ad un'evoluzione dalla vecchia tesi del «colpo di mortaio tedesco di calibro medio», oggettivamente difficile da spiegare, visto che la Wehrmacht avrebbe scelto un espediente piuttosto complicato per compiere una strage, all'accusa più comprensibile della «responsabilità di aver concentrato... un'enorme massa di persone in un luogo esposto ai colpi dei mortai e dei cannoni». Nel 1984 col libro «S. Miniato. 22 luglio 1944» si cominciava a mettere in dubbio l'importanza di stabilire se si trattava di granata tedesca o americana. Ma perché la verità dei fatti non era più importante? Per il semplice motivo che la «vulgata» nascondeva un bluff durato 53 anni. Vediamo come. Prendiamo la testimonianza del 6 ottobre 1944 resa davanti alla Commissione comunale dal Maresciallo dei Carabinieri Conforti; questi dichiara di aver consegnato «al capitano americano Ruffo due schegge». L'ufficiale appartiene alla 91a divisione americana ed è colui che ha fatto il rapporto preliminare prima dell'insediamento della Commissione ufficiale d'inchiesta statunitense. La relazione fa parte degli atti investigativi da noi reperiti nel febbraio 1994 ai National Archives di Washington. Stranamente (o ovviamente) in questo rapporto non si fa cenno a reperti acquisiti. Possiamo presumere che l'ufficiale, rendendosi conto di avere in mano una spoletta americana, intuì immediatamente che quella era la prova provata della responsabilità colposa degli artiglieri della sua divisione.
    Per uscire da questa situazione quanto meno imbarazzante decise di non segnalare ai superiori il ritrovamento della spoletta ma non se la senti neppure di distruggerla. Al di là di queste illazioni, è un fatto che due settimane dopo la segnalazione del maresciallo Conforti arrivava alla commissione comunale la «perizia» del tenente di fanteria americano Charles Jacobs. Il poverino per far quadrare il cerchio aveva dovuto inventarsi una granata tedesca assassina ed una innocua americana. A riprova della sua buona fede (e della sua ignoranza) forniva anche il DNA della bomba statunitense: spoletta «Fuse P. D. M43». Trattandosi di materia tecnica ci siamo rivolti a due generali, Sabino Malerba e Ignazio Spampinato e ad un colonnello, Massimo Cionci, tutti d'artiglieria, ma con specializzazioni diverse (balistica, esplosivi e munizionamento). Il responso dei tre è stato unanime, quella «spoletta Fuse a percussione (P. D.) avente il numero di modello 43 non è mai esistita». Inoltre, dice l'esperto di munizionamento, col. Cionci, «è impossibile che il proietto munito spoletta del tipo PD fosse un fumogeno». «La scritta punzonata sulla spoletta poteva essere soltanto "P. D. M48"».
    L'equivoco 
    La spiegazione è semplice: con gli urti l’«8» era stato scambiato per un «3» e da qui era nato l'equivoco. Dunque la prova del DNA diceva che l'unica spoletta rinvenuta in chiesa apparteneva ad un proiettile «scoppiante» americano. Ma perché si dovette inventare il fantomatico proiettile tedesco? Semplicemente perché in quel giorni di guerra americani e italiani morivano combattendo contro l'occupante nazista. E nel 1944- 1945 quella verità non si poteva dire. A nostro avviso con la «perizia» Jacobs i membri della commissione d'inchiesta italiana intuirono subito la verità e cercarono in tutti i modi di venire incontro alla tesi americana, che contentava gli americani e, tutti i partiti politici dell'epoca. Il 21 settembre 1944, giorno dell'insediamento della commissione comunale d'inchiesta, questa all'unanimità dava incarico all'ing. Aurelio Giglioli di presentare una descrizione dello stato attuale del fabbricato della Chiesa del duomo con relativa pianta». Il 10 ottobre lo stesso ingegnere veniva incaricato di prendere anche «delle foto all’interno e all'esterno del Duomo». Ma cinque giorni dopo arrivava la verità confezionata dal tenente americano: gli schizzi e le foto dell'ingegnere socialista non servivano più, anzi diventavano estremamente pericolose. Si sarebbe potuto vedere quello che noi scopriremo 52 anni dopo nelle carte della Curia: l'intelaiatura in ferro che sostiene la vetrata del rosone e l'intelaiatura lignea della finestra da cui era entrato il supposto proiettile assassino tedesco, non presentavano segni di effrazione. Erano rimasti intatti, mentre quello da cui era entrato il proiettile americano abbisognò dell'intervento del fabbro!
    Il fatto incontrovertibile è che l'ing. Giglioli non solo non consegna né schizzi né foto ma dal 21 ottobre abbandona i lavori della Commissione.
    L'ing. Giglioli non è il solo a lasciare la commissione. Si dimette, questa volta ufficialmente, anche l'azionista Ermanno Taviani, l'assessore alla Cultura che ha ideato e fortemente voluto quella commissione amministrativa.
    La commissione 
    E, guarda caso, presenta le dimissioni solo da membro della commissione, ma mantiene la carica di assessore all'Educazione e alla Cultura. Insomma più si scava e più vengono fuori misteri. Torniamo all'enigma delle foto richieste all'ing. Giglioli e mai consegnate: il 29 maggio 1945 la Giunta approvava l'acquisto di 62 foto di Cesare Barzacchi per la somma di 16.000 lire. Perché spendere una cifra così spropositata (tra i 15 e i 20 milioni di oggi!) quando le stesse foto si potevano avere a prezzo di costo 8 mesi prima? Si doveva forse coprire la magagna che si stava formalizzando con la relazione Giannattasio? Il dubbio è che il Comune, conscio di aver imboccato una strada senza uscita, quella di sostenere un falso imposto dalla guerra appena finita, era costretto ad acquistare i negativi e a togliere dalla circolazione le altre possibili prove della responsabilità americana. 
    Le prove 
    I misteri sulle foto Barzacchi non finiscono qui. Come mai nella primavera 1984 il Comune è costretto a riacquistare quelle foto che 39 anni prima aveva profumatamente pagato? Succede che quando l'amministrazione decide di celebrare il quarantennale dell'eccidio non trova più i negativi e deve pagare 5.726.000 lire alla foto-ottica Gallerini per 60 positivi. Nel 1996 le nostre ricerche ci hanno portato a ritrovare l'album originale con le fotografie firmate dal Barzacchi: due pagine risultano vuote. O meglio, due foto sono state evidentemente scollate. Secondo noi, distrutte quelle due foto compromettenti l'album perdeva qualunque interesse e così poteva anche uscire dall'archivio comunale. Per amore della verità storica rispondiamo alla tesi dell'assessore Marianelli e dell'attuale sindaco Alfonso Lippi, che nel 50' anniversario della strage, aveva dovuto metter da parte la «verità» del Giannattasio del 1945 del «colpo di mortaio di calibro medio», oggettivamente difficile da spiegare e da capire, e ripiegava sull'accusa più comprensibile e rappresentabile all'opinione pubblica del "colpevole concentramento della popolazione nel punto più esposto"; intanto non fu il Comando tedesco a decidere di concentrare la folla in Duomo, ma fu il vescovo Giubbi a offrire l'ospitalità della Chiesa. Si veda la lettera inviata in Vaticano ed in copia alla Commissione d'inchiesta. «Il Vescovo -scrive in terza persona, ndr- fece osservare al capitano Tedesco: ... che la popolazione non avrebbe potuto per le ore 8,00 essere tutta radunata in piazza dell'Impero. Allora l'ufficiale tedesco dispose che la radunata avvenisse, oltre che in quella piazza, anche nella piazza della Cattedrale e che, entro la Chiesa si fermassero soltanto i vecchi, i malati e i bambini. Gli altri rimanessero fuori». Se qualcuno avesse letto la deposizione resa il 14 agosto 1944, davanti alla Commissione Militare americana, da don Guido Rossi avrebbe capito che: «... a seguito delle richieste del Vescovo la folla entrò in chiesa». Il 31-10-1944 Armando Colombini ribadiva lo stesso concetto davanti alla commissione d'inchiesta comunale: «Successivamente il Vescovo disse che oltre ai bambini, alle donne aveva ottenuto il permesso di fare entrare in chiesa anche gli uomini».
    Dunque i tedeschi volevano far sgombrare la popolazione verso la campagna, ma siccome i vecchi, le donne e i bambini avrebbero rallentato la marcia, ordinarono che fossero lasciati indietro. Ma il vescovo per non smembrare le famiglie ottenne che tutti fossero raccolti provvisoriamente tra le mura sicure del Duomo. L'ultimo baluardo di assessori e sindaci è questo: in ogni caso i tedeschi sono i responsabili perché il Duomo era il luogo più esposto. In verità il Duomo sarebbe stato «pericolosamente esposto» solo se a sparare fosse stato il cannone di un carro armato, che spara «con una traiettoria talmente tesa da potersi assumere come rettilinea», per usare le parole del gen. Malerba. Anzi, nonostante le apparenze, il Duomo si dimostrò luogo sicuro perché le bombe cadute sul tetto e sulle cappelle non causarono morti e solo per un caso irripetibile un colpo centrò un rosone. Ed il fato volle che quel maledetto proiettile fosse a scoppio ritardato e che dopo due rimbalzi scoppiasse per aria, nel punto più affollato della cattedrale. E' corretto allora il testo della stele, sistemata nel 1994 dall'amministrazione sul prato del Duomo, dove si legge: "A ricordo delle 55 (!) persone uccise dalla barbarie della guerra in questa cattedrale il 22 luglio 1944". Un testo che non si concilia perciò con la faziosa lapide del 1954.
 
 
LA NAZIONE Quotidiano del 24 Luglio 1997

I BUGIARDI DI S.LORENZO
Massimiliano Mazzanti
 
 
    San Miniato al Tedesco, 22 luglio 1944. Nella piazza della cattedrale 56 abitanti dell'antico borgo ghibellino, li convenuti per ordine dei tedeschi, vengono sbrigativamente fatti entrare nel tempio. Non appena donne, vecchi e bambini sono all'interno della cattedrale, implacabili soldati di Hitler serrano portale e finestre e fanno saltare tutto. E' la strage di S. Lorenzo, o almeno con questo nome la ricordano tutti dopo l'uscita dell'omonimo film dei fratelli Taviani.
    Costoro la storia di quell'eccidio nazista dovevano conoscerla molto bene: il loro padre, avvocato con una casa a S. Miniato, avrebbe infatti preso parte ai lavori della commissione comunale che, insediatasi il 21 settembre 1944, fu incaricata di far luce sull'orrenda esecuzione di massa. E se la conoscevano bene, oggi che è stato acclarato che i tedeschi non furono responsabili della morte di 56 cittadini di San Miniato, ora che non ci sono più dubbi sul fatto che la strage di San Lorenzo altro non è che una colossale e cinquantennale mistificazione a fini politici; anche i fratelli Taviani dovranno assumersi la loro parte di responsabilità in questa strana vicenda (ma, forse, neppure tanto strana in questo Paese cosi visceralmente affezionato alla vulgata resistenziale).
 
    Cosa accadde il 22 luglio '44
    Ma cosa successe veramente quel 22 luglio a San Miniato? 
    Il paese si trovava in quei giorni proprio sulla linea del fronte e la popolazione rischiava di rimanere coinvolta in un duello di artiglierie tedesche e americane.
    I tedeschi invitarono la popolazione a riparare nei campi, dando appuntamento a tutti per le otto della mattina del 22 luglio in piazza dell'Impero.
    Il vescovo, però, fece notare al comando tedesco che non tutti - soprattutto i vecchi, le donne e i bambini - avrebbero potuto giungere puntuali all'appuntamento, e suggeri di far concentrare la parte più debole della popolazione nella cattedrale. I tedeschi dettero il loro assenso, poi accadde la tragedia. Un proiettile americano, di quelli a scoppio ritardato, centrò il rosone della chiesa, fece un paio di rimbalzi all'interno della navata e deflagrò in aria, esattamente sopra le teste degli sventurati all'interno del tempio.
    Una fatalità, insomma, la cui responsabilità, se di responsabilità si può parlare, ricade sugli americani.
 
    Inizia la misitificazione
    Arrivati gli alleati in paese, qualcuno pensò subito di mutare la realtà delle cose. Una "strage americana" non era certo politicamente corretta e se i morti di San Miniato fossero stati attribuiti ai tedeschi, nessuno avrebbe certo protestato per lo stravolgimento della verità.
    Il "diavolo", però, volle subito metterci la coda. La commissione istituita nell'autunno del '44 non poté non registrare il ritrovamento all'interno del Tempio di una spoletta americana. Allora, la questione fu risolta in maniera abbastanza sbrigativa: "La cattedrale fu colpita da due granate - recita la relazione finale dell'inchiesta amministrativa - una tedesca e l'altra americana... Ma l'eccidio fu causato esclusivamente dalla granata germanica".
    Una conclusione evidentemente ridicola, perché non si capiva in base a quale ragionamento si poteva stabilire che una granata era stata micidiale e l'altra innocua.
    Comunque, ci fu chi tentò, anche di fronte a queste perplessità, di arrampicarsi sugli specchi. L'Anpi di Pisa, ad esempio, affermò che i tedeschi spararono intenzionalmente dalla piana dell'Arno "il colpo di mortaio medio" sulla chiesa, ma altri fecero notare l'incredibilità di tale accusa (il mortaio è un'arma a tiro curvo, cioè quanto di meno adatto per sparare contro il rosone di una chiesa). Altri, infine, attribuirono ai tedeschi la responsabilità di aver concentrato in un luogo tanto esposto la popolazione di San Miniato (mentre la richiesta, come abbiamo visto ed è documentato, partì dal vescovo).
 
    Una bomba inesistente
    L'ultimo particolare da sistemare, a questo punto, era la storia delle due bombe, di cui una "innocua". La spiegazione ufficiale fu la seguente: mentre la granata tedesca era una normale granata da battaglia, la spoletta americana del tipo "Fuse P.D. M43" era montata su di un fumogeno.
    Una bella trovata, certamente. Peccato, però, che una spoletta americana modello "Fuse P.D. M43" non sia mai esistita e che tutti i modelli RD. fossero montati su granate vere, micidiali.
    Insomma, solo una bomba americana uccise i 56 rifugiati nella chiesa di San Miniato. E la lapide che ancora "ricorda nei secoli il gelido eccidio perpetrato dai tedeschi il 22 luglio '44 di sessanta vittime inermi" (nel frattempo il numero degli uccisi di San Miniato è misteriosamente lievitato) è ora un insulto alla verità che qualcuno chiede di cancellare.
    Quattro senatori di Alleanza Nazionale - Giuseppe Turini, Piero Pellicini, Giulio Maceratini e Italo Marri - hanno già rivolto un'interpellanza al ministro dell'Interno per chiedere la rimozione della lapide apposta sulla facciata del Comune di San Miniato. E lo hanno fatto non certo per spirito di provocazione: Turini e Pellicini, infatti, sono di San Miniato e sono parenti di alcune vittime della strage.
 
    "Noi sapevamo la verità"
    "Noi la verità l'abbiamo sempre saputa - dice Turini mostrando un ritaglio del Giornale di molti anni fa: una sua lettera a Montanelli con la denuncia dei fatti per come erano realmente accaduti - solo che nessuno sembrava voler andare a fondo di questa questione".
    "Quando vidi per la prima volta La notte di San Lorenzo dei fratelli Taviani ero a Follonica - dice ancora l'esponente di An. Ad un certo punto, quando vidi la scena della chiesa piena di gente fatta saltare in aria dai tedeschi, mi misi a gridare che era una vergogna, un insulto alla verità. Dovettero portarmi via dalla sala".
    "Chi, come me, aveva perso parenti ed amici in quella strage - dice ancora Turini - non poteva accettare quella mistificazione dei Taviani, i quali non ebbero neppure il coraggio di assumersi la responsabilità di quello che affermavano: nel film, infatti, la scena viene fatta 'sognare' ad una donna".
    Insomma, tante bugie solo per manipolare la memoria del popolo di San Miniato, e per strumentalizzare politicamente una sciagura della guerra.
 
 
IL SECOLO D'ITALIA Quotidiano del 1 agosto 1997

 
 
STRAGE DI SAN MINIATO (PISA) 22 luglio 1944. Lettera al Direttore
 
 
   Nel gennaio del lontano 1983 l'allora Giornale di Montanelli ospitò inconsuetudinalmente, sulla pagina "La parola ai lettori", una lunga lettera del Sig. Giuseppe Turini, poi eletto senatore del MSI-DN, che contestava ai fratelli Taviani tutta la sequenza del film "La notte di San Lorenzo", prodotto dalla televisione italiana. Il film infatti raccontava ciò che le autorità comuniste e l'Anpi accreditavano: che i tedeschi ed i fascisti avevano fatto ammassare dentro il Duomo - complice il Vescovo - la popolazione e poi fatto scoppiare una bomba che provocò 56 morti ed un centinaio di feriti, mentre i fedeli erano in preghiera. "I fatti si svolsero in ben altra maniera. Durante un cannoneggiamento fra opposte artiglierie, disgraziatamente una granata americana centrò il Duomo provocando molti morti ed un centinaio di feriti".
   La Commissione d'inchiesta insediata a San Miniato fin dal settembre 1944 appurò la verità storica con prove inconfutabili raccolte dall'ingegner Giglioli che aveva fotografato il Duomo sia all'interno che all'esterno, subito dopo il fatto.
   Il CLN voleva far ricadere la responsabilità del misfatto sul comando tedesco. Le fotografie comprovanti la verità, per incanto, sparirono dalla circolazione. Il film inoltre affermava: che i tedeschi segnarono le case da far saltare ritirandosi, scegliendo in particolare quelle del quartiere "rosso" di San Martino e che nelle immediate vicinanze, a sud di San Miniato, vi fu uno scontro tra partigiani improvvisati e fascisti.
   Nella lettera, Turini smentisce sia il primo che il secondo episodio, scrivendo come effettivamente si svolsero i fatti: "... i tedeschi non segnarono le case, infatti a quei tempi nessuno sapeva cosa fossero i rossi. I palazzi che saltarono furono quello 'Grifoni' e gran parte della zona centrale, fra cui la mia abitazione di proprietà dell'Avvocato Taviani, padre dei produttori del film. Nel passaggio dei poteri non fu sparata nemmeno una fucilata..." Pertanto anche l'"episodio" dello scontro tra fascisti e partigiani è falso. Fin qui l'antefatto. Dopo l'apertura degli archivi della Commissione militare americana, il quotidiano fiorentino La Nazione, il 24 luglio 1997, a caratteri cubitali pubblicava la verità storica sulla strage di San Miniato (Pisa), confermando ciò che il Turini scrisse nel lontano 1983 a Montanelli.
   A questo punto, promotore il senatore Giuseppe Turini  con altri tre senatori, è stata presentata una interrogazione a risposta scritta, al Ministero degli Interni. Non crediamo che questa interrogazione abbia migliore fortuna di quelle che presentarono gli on.li. Niccolai e Matteoli. Pensiamo che, stando le cose come stanno, la lapide sulla facciata del Comune di San Miniato, sfacciatamente menzognera, continuerà a starci, confermando la regola che i vinti hanno sempre torto, specie quando hanno ragione.
 
Aeffe
Venturina
 
 
NUOVO FRONTE N. 178 Novembre 1997 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)
 
 

DOMUS